- Il Pinot -
Nel cortile della casa dove sono nato c'era una piccola costruzione dove un anziano signore allevava dei conigli.
Era un signore burbero e distante che fungeva da tuttofare del condominio. Aveva la fiducia del proprietario dello stabile ed in conseguenza di ciò godeva di un certo povero prestigio tra i condomini, un misto proletario di operai in pensione, invalidi e famiglie operaie.
Tutti lo chiamavano Pinot. Con gli occhi di allora lo ricordo alto, ossuto e spaventoso.
Noi bambini lo temevamo e lo odiavamo.
Ci spaventava con i suoi rimproveri, spuntava sempre ad interrompere la nostra giocosità nei momenti di felicità pura che già a quell'età percepivamo come preziosi. Momenti che, devo riconoscere, erano quasi sempre i più chiassosi.
Una domenica mattina d'inverno, molto presto, ero in cortile ad attendere gli amici. Tra la nebbia bassa lo intravidi armeggiare intorno al suo casotto con qualcosa in mano, notai che era qualcosa che pareva muoversi e produrre degli strani suoni. La curiosità prevalse sulla paura e mi avvicinai da dietro, leggermente di sbieco, così che non mi vedesse.
Mentre mi avvicinavo la cosa che penzolava dalla sua mano cominciò ad agitarsi e ad urlare, notai che il Pinot (l'articolo determinativo lo aggiungevamo solo noi bambini, forse per sottolineare il nostro percepirlo cosa spaventosa, più che persona) impugnava un arnese nell'altra mano, la destra, avvicinandomi capii che si trattava di un martello e vidi un coniglio sanguinante che penzolava isterico dall'altra mano. Le nocche pallide sulla vecchia pelle scura indicavano la forza con cui lo teneva per le zampe posteriori.
Aveva iniziato a martellarlo maldestramente mirando al cranio ma il coniglio urlava e si agitava freneticamente ed il Pinot, che non era veloce né di testa né di mano e l'età gli aveva ormai raggiunto gli occhi, cercava di prendere al meglio la mira prima di sferrare il colpo con tutta la forza del suo vecchio corpo.
Rischiò diverse volte di colpire la sua stessa mano ma per quanto io lo abbia sperato non accadde.
Sputando bestemmie a denti stretti colpì invece il muso ed il corpo del coniglio, più e più volte in diversi punti.
Il Pinot bestemmiava sempre più forte e menava fendenti rabbiosi ed il coniglio si agitava sempre più convulso contraendo il corpo e sprizzando sangue ovunque. E urlava, urlava forte, come mai avevo sentito urlare un essere vivente. Un crescendo di dolore, rabbia e terrore che io osservavo impietrito.
Dopo un tempo mi sembrò incredibilmente lungo, per un paio di colpi fortunati il coniglio si decise a morire con pochi ultimi sussulti.
Il Pinot appoggiò coniglio in un piccolo lavello lì accanto sotto una tettoia e cominciò a lavare il martello continuando a bestemmiare piano per smaltire l'adrenalina.
Girandosi per prendere un coltellaccio mi notò, lì dietro, immobile. Mi gridò qualcosa con il coltellaccio in mano ma non so cosa perché stavo già correndo verso casa.
Quella domenica mi diedi per indisposto e non uscii.
A distanza di ormai molti anni ricordo ancora molto bene la scena, ma ciò che ho maggiormente impresso con incredibile nitidezza nella memoria, sono gli occhi del coniglio, il suo sguardo.
Per questa ragione quando anni addietro in Francia sentii parlare alcuni animalisti circa proteste contro la vendita di animali vivi nei mercati, riferita ad animali da cortile venduti essenzialmente per la macellazione casalinga, mi tornò in mente quel coniglio e quello sguardo.
Così mentre mi spostavo per la Francia del Sud per lavoro, cercai i mercati per verificare se davvero vi fossero animali in gabbia.
In effetti c'erano, essenzialmente anatre e conigli.
Questi sono alcuni degli sguardi che ci scambiammo.