Prendiamoci un momento.
Non troppo sul serio, però.
#Negrita #SonicPark #Stupinigi #Torinerò #FotografiaLive #CosebelleaTorino #Cambiodimentalità
Ascoltiamo i Negrita da sempre.
Non so quante volte abbiamo suonato Cambio, in cantina ed in birreria.
Sono bravi, bravi davvero, ma soprattutto hanno molto da dire, che è quello che dà un senso a tutto.
Li abbiamo anche incontrati una volta, alla FNAC, come fan,
presentavano Dannato Vivere, ce lo siamo fatto autografare. :-)
E l'altra sera a Debora è capitato di fotografarli!
A Stupinigi, grazie al Sonic Park un gran bel festival che porta a Torino gente come Jeff Beck, Steven Wilson, LP, Caparezza, Deep Purple ed appunto i Negrita.
E grazie a Torinerò, una bella, giovane, viva e "pensante" testata dedicata a Torino,
con cui abbiamo cominciato a collaborare.
Insomma, cose belle che succedono a Torino.
Qui alcuni degli scatti di Debora.
Fotografare i live mi è sempre piaciuto, parecchio.
Che sia un grande palco oppure i pochi metri quadri di una birreria, la musica suonata regala sempre energia,
c'è sempre qualcosa di speciale in un live e ogni volta è diverso.
Quando fotografo i live cerco di entrare nel mood della band, mi immergo nella stratificazione di armonie, musicali ed umane, che si respirano sul palco.
Quando tutto finisce sono sudato ed appagato, un po' come se avessi suonato anch'io.
In un certo senso in effetti è così, vivo quelle due ore insieme ai musicisti, inseguendo i loro automatismi, respirando le loro emozioni, aspettando quella luce, quell'espressione.
Ed è proprio bello, bello davvero.
Grazie ragazzi della bella serata.
E' il primo campo di concentramento nazista, aperto il 22 marzo del 1933, a nemmeno 2 mesi dalla nomina di Hitler a cancelliere.
Servì da modello per tutti gli altri.
Secondo le stime ufficiali vi transitarono 200.000 persone, 41.500 vi morirono, uccise dalla folle crudeltà nazista.
Molti meno rispetto ai milioni di Auschwitz, ma Dachau era appunto un modello, un luogo di lucida follia, come tutto l'operato nazista: folle e crudele ma lucido, organizzato, efficiente.
Visitando luoghi dove molte vite sono state vissute e, come in questo caso, molte persone sono morte, non posso evitare di immedesimarmi, consapevole dell'impossibilità, della distanza, è semplicemente un tentativo di avvicinarsi a qualche frammento di comprensione.
Non dell'insieme, della macropolitica mondiale dell'epoca né della micropolitca del luogo come insieme organico, quello che mi coinvolge nel profondo è tentare di immaginare ciò che hanno visto le persone che hanno vissuto quei luoghi e quelle circostanze e da lì provare a speculare sui loro pensieri, sul loro essere.
Ovunque nel mondo ho sempre incontrato persone con cui i punti di vicinanza, di comunanza, sono più forti delle distanze, culturali, geografiche, etniche.
Siamo genitori, siamo figli, siamo sposi, siamo amanti, proviamo amore, rabbia, frustrazione, speranza, desiderio, dolore.
Credo che di questo resti traccia, in qualche modo.
Credo sia per questo che, dopo pochi minuti dentro quell'enorme museo della follia e del dolore ho cambiato idea.
Non era una visita professionale, né per ricerca personale, non ero lì per fotografare ma sapevo che avrei fotografato, ovviamente. Per me, per autodifesa, per sublimare in qualche modo l'impatto emotivo.
Avevo programmato di fotografare in bianco e nero, perché è un modello comunicativo che conosco, con il quale mi trovo a mio agio, non distrae, è essenziale, appare come la scelta più logica, in quanto all'epoca dei fatti le pellicole a colori non erano diffuse, anzi nel 1933 ancora non esistevano (la prima Kodachrome arriverà nel 1935), ed infatti la nostra iconografia di quel periodo è in bianco e nero.
Poi, come dicevo, ho rapidamente cambiato idea.
“Ritratto “ è una definizione molto ampia.
E’ un po’ come dire rock: ci sta dentro tutto ed il contrario di tutto.
Personalmente considero il ritratto un modo per conoscersi, per guardare sé stessi in modo diverso, per raccontarsi al proprio presente ed al proprio futuro.
Ritrarre qualcuno è qualcosa di delicato e complesso che, se fatto con consapevolezza, arricchisce come forse nessun altro genere fotografico.
E’ qualcosa che va ben oltre la bella foto, è un ponte emotivo, la necessità di capire l’altro, almeno un po’. Affinché la persona che fotografo, veda davvero se stesso ma con occhi diversi, così che l’arricchimento sia reciproco.
Tutto ciò e anche molto altro si manifesta con particolare evidenza quando fotografo persone intense, dall’interiorità profonda.
Quando è necessario andare ben oltre lo specchio dell’apparenza, indagare in punta di piedi dietro la maschera del quotidiano, approfittare dello spiraglio aperto da uno sguardo, un gesto, una parola, per provare a vedere le impronte che il cammino di ognuno ha intrecciato dentro di sé.
E’ un approccio impegnativo, che richiede tempo ed impegno, ma è il mio ed è l’unico che riesco ad immaginare.
Non ho risposte, mi spiace.
Però ho molte domande ed infiniti dubbi.
Perché
la musica inedita
desta così
poco interesse?
Eppure
il mondo
ha bisogno di nuove idee, costantemente.
Perché le tribute band sono la proposta musicale
di maggior successo di pubblico?
Certo i Led Zeppelin, i Police, i Beatles, gli Stones, David Bowie, gli U2, o i più prossimi Vasco, Liga, Rino Gaetano, Litfiba e tutti i grandi o gli immensi che volete sono appunto grandi ed hanno fatto e fanno cose splendide.
Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.
Italo Calvino
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/vita/frase-286299>
Il 2016 per molti di noi è stato un anno complicato, pesante,
per cui l'augurio migliore che mi sento di fare a tutti
è che il 2017 sia un anno leggero e sincero.
Confesso che mi piacerebbe anche che fosse un anno analogico.
Non per tornare indietro e perdere possibilità
ma per ritrovare consapevolezza e crescere.
Nella giornata mondiale della fotografia, vorrei augurare a chiunque decida di scattare foto, la consapevolezza di voler cercare i propri perché e di ricordare che i come hanno un valore semplicemente strumentale.
La giornata mondiale della fotografia è un'iniziativa privata e piuttosto recente, qui trovate le info:
http://worldphotoday.com/about
Non so se l'iniziativa abbia in realtà fini commerciali, né ho potuto cogliere alcun reale valore aggiunto nel sito.
Però è bello ricordare come è nata la fotografia, e credo che in particolare sia utile ricordare la grande intelligenza dello Stato francese dell'epoca, intelligenza di cui oggi si sente francamente la mancanza un po' ovunque.
Da Wikipedia:
"In cerca di fondi, Daguerre fu contattato da François Arago, che propose l'acquisto del procedimento da parte dello Stato. Il 6 gennaio 1839 la scoperta di una tecnica per dipingere con la luce fu resa nota con toni entusiastici sul quotidiano Gazette de France e il 19 gennaio nel Literary Gazette.
Il procedimento venne reso pubblico il 19 agosto 1839, quando, in una riunione dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle arti, venne presentato nei particolari tecnici all'assemblea e alla folla radunatesi all'esterno. Arago descrisse la storia e la tecnica legata al dagherrotipo, inoltre presentò una relazione del pittore Paul Delaroche, in cui furono esaltati i minuziosi dettagli dell'immagine e dove si affermò che gli artisti e gli incisori non erano minacciati dalla fotografia, anzi potevano utilizzare il nuovo mezzo per lo studio e l'analisi delle vedute. La relazione terminò con il seguente appunto di Delaroche:
« Per concludere, la mirabile scoperta di monsieur Daguerre ha reso un servizio immenso alle arti. »
(Paul Delaroche)"
Prima del giorno dell'evento vado sempre a fare un sopralluogo sui luoghi dove si svolgerà , per verificare lo stato delle cose, rilevare eventuali criticità, vedere di persona.
Insomma per arrivare preparati nel miglior modo possibile.
Fa parte del mio modo di lavorare.
Vado a farmi un giro sul posto anche se, come in questo caso, lo conosco già.
Sia per verificare che non siano intervenute modifiche impreviste (lavori in corso, nuove costruzioni, ecc.) sia perché, per quante volte si visiti un luogo, tenendo la mente aperta, si "vede" sempre qualcosa in modo nuovo.
Se possibile andiamo in tutti i luoghi dove si svolgerà l'evento: la chiesa (o il luogo della cerimonia), la/le location scelte con gli sposi per le foto, il luogo del banchetto e della eventuale festa.
Inoltre verifichiamo i percorsi e la logistica.
I Brigata Balon raccontano storie, piccole storie, belle storie, piccole belle storie
o forse piccole storie belle. Mi piacciono i Brigata Balon.
Forse perché anche io amo raccontare piccole storie.
Mi piace anche l'Hiroshima con il suo palco, il suo impianto e le sue luci che ti fanno capire che lì si fa sul serio.
Prendo spunto da una mostra volutamente provocatoria di qualche anno fa per riflettere su un argomento che mi pare molto più importante di quanto sembri essere consideraro: la memoria fotografica del nostro tempo.
Questo interessante articolo di Gabriele Caproni sviscera molto bene il problema, Il cuore dell'articolo nonché spunto di questa riflessione è:
"Il recente millennio avrà, almeno in Italia e in pochi altri strutturati Paesi, scarsa documentazione sulla società oggi contemporanea e sui suoi comportamenti.
Là dove la fotografia è registrazione e memoria, ci saranno dei vuoti di memoria.
Il nostro presente rischia di non diventare immagine per il futuro.
Le più raffinate abilità nel raccontare l’evoluzione della società italiana, i comportamenti, le mode, resteranno forse inespresse."
Questo non certo perché non vi siano fotografi interessati alla documentazione della realtà ma a causa di una tanto diffusa quanto anomala e talvolta distorta (rispetto a gran parte del resto del mondo sviluppato) percezione del concetto di privacy.
Già di per sé l'argomento è complesso e poco si presta a semplificazioni ed estrema sintesi, per cui evito di addentrarmi nella intricata matassa di leggi, norme, interpretazioni, sentenze, ecc. Ricordo solo, quale premessa generale, che in luogo pubblico e/o aperto al pubblico senza controllo d'accesso, chiunque può fotografare chiunque e qualsiasi cosa, con l'eccezione delle strutture militari (in realtà argomento di lana caprina, ma che alla luce dei recenti e tragici atti terroristici è saggiamente meglio non approfondire e prendere per buono il divieto) e di coloro che esprimono in modo esplicito la volontà di non essere fotografati (laddove siano i soggetti principali della foto, dato che non è che si possa chiedere a qualcuno di non fotografare il Colosseo semplicemente perché si rischia di essere ripresi).
E' il caso di specificare che riprendendo chi abbia espressamente chiesto di non farlo, non si viola in alcun modo la legge sulla privacy o altre leggi assimilabili ma si rischia di incorrere nel reato di molestie: il punto non è che si fotografa qualcuno, è che si sta molestando qualcuno. Sottolineo che la molestia scatta se si stava cercando di fare un ritratto o qualcosa di simile, non certo se si sta fotografando una piazza, un monumento, un panorama, ecc.
Tanto per dire che il più delle volte in cui qualcuno, investito o meno di qualche minima autorità, ci impone di non fotografare mentre siamo in un luogo pubblico, in realtà sta commettendo un abuso e/o una prevaricazione.
ATTENZIONE però: fotografare e pubblicare NON sono la stessa cosa, se è vero che in linea di massima in luogo pubblico nessuno ci può legittimamente vietare di scattare, è altrettanto vero che le leggi al momento in vigore (aprile 2016) limitano molto la pubblicabilità su siti, mostre o in qualsiasi luogo esposto al pubblico di immagini di persone che non abbiano dato specifico consenso.
Volendo approfondire, un buon punto di partenza è questo schema sul sito di Tau Visual, autorevole associazione di fotografi professionisti.
In ogni caso se cercherete in rete vi renderete conto che i pareri, anche limitandosi a quelli realmente autorevoli, non sono purtroppo univoci, anzi spesso danno interpretazioni assai diverse.
Al di là dell'aspetto legale, ciò su cui vorrei però riflettere è: cosa porta tanta gente a pensare che essere fotografati comporti di per sé un qualche danno, una qualche violazione dei propri "diritti"?
Nel terzo millennio, in occidente, forse c'è ancora qualcuno che pensa che la fotografia rubi l'anima???
Tutto è possibile, ma onestamente mi pare improbabile.
Quindi perché? Onestamente non riesco d immaginare ragioni razionali.
Forse il timore che la propria "immagine" venga sfruttata a fini commerciali? Che qualche ricco fotografo "speculi" guadagnando montagne di denaro con fotografie che ci ritraggono?
Leggendo alcuni commenti su Facebook verrebbe da pensarlo.
Eppure non credo siano rimasti in molti a non sapere che con le foto non ci si arricchisce, nemmeno se il soggetto fosse Brad Pitt o Angelina Jolie, che essendo persone famose non potrebbero opporsi né allo scatto né alla pubblicazione, figuriamoci che valore possono avere le immagini di illustri e normali sconosciuti.
Quindi? Perché? Non lo so, se avete ipotesi vi prego di condividerle nei commenti, mi piacerebbe davvero capire.
E' interessante notare che il problema è così manifesto in pochissimi stati, ad esempio nel mondo anglosassone (USA e GB) storicamente la situazione sotto il profilo legale è chiara: fotografi chi e cosa vuoi SE tu e il soggetto vi trovate in luogo pubblico, pubblichi e diffondi le foto come ti pare, purché non abbiano scopo commerciale (pubblicità), se esponi o inserisci le foto in un libro che vendi non c'è problema, se invece le vendi alla CocaCola, devi contattare il soggetto ed accordarti economicamente. Semplice e lineare.
Al di la del legale, ciò che è interessante notare è che la percezione diffusa verso la fotografia nella maggior parte del mondo occidentale è diversa da quella italiana, questa percezione di fastidio, di chiusura mentale, una sorta di senso di "possesso" della propria immagine, di violazione di presunti diritti che tali non sono.
Sarà il nostro individualismo ipertrofico? La nostra propensione per le regole e la burocrazia, però da imporre agli altri e non a noi stessi? Non saprei.
Fatto sta che questo atteggiamento rischia di generare un danno culturale potenzialmente ingente.
Tutti noi abbiamo amato gli scatti di Cartier-Bresson, Doisneau, Berengo Gardin, Steve McCurry, Winogrand, Vivian Maier, Friedlander, Robert Frank, ecc. Ebbene, il fatto è che le generazioni future, per quanto concerne l'Italia, non avranno un analogo patrimonio documentale ed artistico, questo a causa della distorta percezione popolare di cui parlavamo prima.
Io mi chiedo e chiedo a chiunque capiti di leggere queste righe: ha senso? Ne vale la pena?
Davvero vi sono in gioco diritti tali da privarci di un patrimonio così importante se non altro dal punto di vista storico?
A questo proposito vi segnalo anche questo interessante articolo di Michele Smargiassi su Repubblica.
"Se qualcuno mi vieta preventivamente di comunicare agli altri con le fotografie quello che ho visto, prima o poi mi vieterà di comunicare agli altri con le parole quello che ho pensato, e allora la pecetta, simpatico attrezzo dei giornalisti di una volta, anziché sugli occhi, nella prossima edizione della mostra Vietato!, dovremmo metterla sulla bocca."
Sostanzialmente condivido il pensiero la posizione di Smargiassi: non mi pare che sussistano ragioni sostenibili per privarci di un tale patrimonio, fatto salvo ovviamente il rispetto dovuto a chiunque ed alla sua dignità, premessa etica e di buon senso, prima ancora che di legge che chiunque decida di occuparsi di reportage non può non far propria.
Ovviamente questo è solo il mio parere ed essendo io un fotografo, per quanto mi sforzi di mantenere una visione obiettiva, è senz'altro un parere di parte.
Non pretendo di avere in tasca soluzioni semplici né risposte esaustive, però credo sia evidente che le leggi fumose e talvolta contraddittorie tipiche del nostro paese non aiutino, né aiuta il disinteresse istituzionale verso l'arte in generale e la fotografia in particolare che da sempre è la cenerentola delle arti.
Disinteresse che, se da una parte non crea le condizioni per uno sviluppo concreto e diffuso delle pratiche artistiche, dall'altra non favorisce nemmeno la diffusione di quella cultura di base necessaria a leggere, comprendere, valutare e "gustare" i fenomeni di espressione artistica.
Insomma, come al solito, ho molte più domande che risposte, ma quello che credo sia indiscutibile che un intervento normativo che faccia chiarezza è ormai tanto indispensabile quanto urgente!
Nelle ultime settimane mi è capitato di fotografare alcune persone speciali e coraggiose che hanno scelto di fare della musica la loro fonte di reddito.
Musica e fotografia hanno parecchio in comune.
Entrambe sono strumenti universali di comunicazione, entrambe consentono di essere praticate a diversi livelli e con diversi intenti.
Entrambe richiedono studio, esercizio, talento, competenza, per essere eseguite al meglio.
Fare musica di professione significa lavorare duro e farlo sembrare facile (E' un po' così anche per la fotografia).
Eseguire tutto al meglio, essere sempre allegri, sorridenti, coinvolgere il pubblico.
Che si sia in perfetta forma o con la febbre, felici o con la morte nel cuore, si deve trasmettere energia positiva, sempre!
Si deve essere affidabili in un mercato precario, offrire soluzioni semplici (apparentemente) mentre si è sommersi dalla complessità dei problemi quotidiani.
Insomma, sono mestieri dannatamente difficili, dove ciò che più amiamo, suonare/fotografare, è solo una parte, spesso minoritaria delle ore di lavoro. E' un percorso talmente ripido che lo capisci solo quando lo percorri.
Ragazzi, che dire, vi stimo e vi voglio bene!
La fotografia live mi è sempre piaciuta parecchio.
Sarà perché anche se di poco, ho iniziato a suonare prima ancora di fotografare, per quanto con risultati diversi...
Non so se sia così anche per altri colleghi ma quando finisco un servizio live mi sento quasi come se avessi suonato io stesso.
Durante il concerto mentre cerchi la luce, il gesto, lo sguardo, mentre sei lì che aspetti di fotografare quello che hai visto con la mente e lo fai in posizioni improbabili e intanto senti l'adrenalina che sale, poi arriva l'attimo giusto e il dito scatta e tu lo sai che ti porti a casa l'istante che volevi.
Questo quando la serata è buona, perché ci sono anche quelle storte.
Quelle dove le luci sono governate da folletti incazzati, il fonico ha studiato al cepu e di conseguenza i musici sono come gatti bagnati e non la mandano a dire. Il boss (c'è sempre un boss, vero o convinto) ti rompe gli zebedei con dove puoi andare e dove no, che il flash disturba, che se passi impalli, che la tua camicia è brutta e immancabilmente finisce con un bel "machecazzosenfarannopoidellefoto".
Sabato non è andata così, è stata una di quelle serate buone, buone davvero, con gli ampli che urlano, le dita che corrono e il sangue che pompa, forte.
Gran bel concerto per la band e di conseguenza anche per me.
Perché quando la band funziona ed esce alla grande, beh anche le foto vanno di conseguenza.
Intendiamoci, è il mio mestiere, vada come vada il servizio lo porto a casa, faccio quello che devo al mio meglio, sempre.
Però se si crea l'intesa, se si riesce ad entrare in sintonia con la band, tutto fila via più liscio, più naturale e nello foto si vede, secondo me.
E' qualcosa che va al di là della tecnica, dell'esperienza, del mestiere insomma, è quella cosa che dopo, quando tutto è finito, ti fa sentire bene.
Quell'indefinita e preziosa sensazione di appagamento che ti mette in pari, che ti fa capire che nonostante tutto non vorresti essere da nessun'altra parte a fare nient'altro.
Grazie ragazzi è stata una gran bella serata di rock di quello buono!!!
Se pensavate di averle viste tutte, beh date un'occhiata alle foto di questa fotografa.
Vi anticipo che fa foto del ca**o!
Cliccate QUI per qualche ca**o di esempio.
Si potrebbero fare molte dotte riflessioni sul successo di queste foto (pare che gli originali vengano venduti a parecchie migliaia di dollari), ma sarebbero tutte ca**ate.
Una bella serata con amici, una irresistibile bottiglia di ottimo rhum, degli animi inquieti con menti mobili e neuroni attivi, il tasso culturale della conversazione si eleva di pari passo con quello alcolico.
Intorno al tavolo ci sono musicisti, giovani pensatori, 2 fotografi ed una pittrice.
A parte i fotografi nessuno si occupa o si è occupato seriamente di fotografia.
Chiaro il quadro? Ok!
Io cosa ti tiro fuori? Un pensiero sull'involuzione culturale in atto nel mondo dell'immagine favorita, a mio parere, dal drastico abbassamento della soglia di accesso alla fotografia, dalla conseguente sovrapproduzione, con tanto di commento sarcastico sull'uso estensivo ed intensivo dell'aggettivo (aggettivo, non sostantivo) "arte" cui si assiste sui vari social.
Ora, se state pensando che toccare un argomento del genere in tale situazione è da pirla, beh avete maledettamente ragione!!!
Ed infatti subito dopo non ho mancato di dimostrare la mia inadeguatezza nel comunicare ed argomentare il perché il maestro Berengo Gardin non voglia essere definito né si consideri (giustamente) "artista", perché avere "occhio" non significhi fare arte, esprimere la profonda differenza che c'è tra arte e documentazione, tra reportage ed espressione interiore.
Non ho convinto nessuno, nemmeno me stesso, ma forse ho gettato il seme del dubbio.
Anche in me stesso, come sempre del resto.
E allora ecco che mi ritrovo a riflettere di arte e di fotografia e di perché un'immagine sfocata, bruciata, mossa possa essere considerata arte a pieno titolo (Foto di Emi Anrakuji - senza titolo - 2015 - Cliccate qui o sulla foto per approfondire il lavoro della Anrakiji, ne vale la pena.) mentre un'altra immagine, analoga e magari anche leggermente migliore tecnicamente, non lo sia (evito esempi per non offendere la suscettibilità di nessuno).
Sono strade del pensiero che ho percorso moltissime volte, avanti ed indietro, sono costellate di specchi bastardi dove guardarsi dentro, per capire se stai pensando libero o preconcetto, se stai pensando o stai cercando argomenti per sostenere il tuo desiderio di realtà.
Un po' per gli specchi un po' perché è così che funziona, sono strade che, per quanto si possano conoscere, rivelano ogni volta nuovi svincoli, nuove svolte, talvolta sentieri, talvolta immense autostrade che sono sempre state lì ma tu non le hai mai viste.
Stavolta sulla strada ho incontrato Man Ray, maestro della sperimentazione e certamente tra i padri più influenti dell'espressione artistica in fotografia.
Non è un sofisma, è una differenza reale e di
grande importanza.
Certo talvolta le due cose coincido, altre
volte non coincidono affatto.
Mi piacerebbe essere il primo ad occuparsi
dell'argomento, ma non è così, ovviamente.
Il maestro Ugo Mulas ne parlava già negli
anni '60:
"Non credo nelle belle fotografie. Di belle fotografie se ne fanno tante, ma sono completamente inutili. Non bisogna dire che sono belle, ma che sono buone. Belle sono le fotografie esteticamente perfette, ben composte, che però non dicono niente. Una buona fotografia racconta e dice delle cose, comunica qualcosa. Anche la bella fotografia comunica, ma comunica cose inutili." Ugo Mulas
Come ci ricorda anche il maestro Gianni Berengo Gardin in una splendida videointervista su RAI
News
Questo tanto per sottolineare che l'argomento
non è di secondaria i portanza, anzi direi che è basilare.
Nel mio percorso sono arrivato alla
personale conclusione che la differenza principale tra una foto buona ed una solamente bella stia nel fatto che la seconda è il fine, quella buona è un mezzo.
Content is king, anche in questo caso.
Se
non c'è un messaggio dentro, dietro, sotto, da qualche parte, allora non è una buona foto!
In altre parole per capirlo di solito basta
porre una domanda al fotografo (o a se stessi, se si è il fotografo): "perché hai scattato questa foto?" Se la risposta è del tipo: "Perché è bella! E con la post è diventata WOW!" potete
avere la ragionevole certezza che non si tratti di una buona foto.
Perché una buona foto è sempre il prodotto di una necessità comunicativa: un esercizio estetico e/o tecnico fine a se stesso NON è una necessità comunicativa.
Tanto per entrare nella pratica, le foto che
si sono salvate e ci sono pervenute del D-Day di Capa non sono certo belle, ma sono buone, molto, molto, molto buone!
The Americans di Robert Frank è un capolavoro, tutte quelle foto sono buone, decisamente buone, ma in linea di massima, tecnicamente, non si può certo dire che siano perfette, anzi.
Per venire a tempi più recenti mi viene in mente Emi Anrakuji http://miyakoyoshinaga.com/artists/Emi_Anrakuji/artwork
Il suo lavoro è decisamente lontano da qualsiasi effetto wow, lontano da tutte le regole formali, lontano dalla ricerca estetica. E' un lavoro profondo, uno scavo senza indulgenza, un racconto toccante e coinvolgente, un'ossessione ragionata, ogni foto è un passo nell'intimo dell'altro e del sé riflesso. Sono foto incredibilmente buone.
Per converso da un po' di tempo si vedono foto ad esempio di paesaggio o di macrofotografia che sono tecnicamente perfette, tonnellate di magistrale post-produzione, straripanti di effetto WOW, il più delle volte non si può certamente negarne la assoluta qualità tecnica ed estetica, ma è altrettanto innegabile che non potrebbero essere più lontane dall'essere buone.
Quindi una bella foto di paesaggio non può
essere buona? Certo che sì! Basti pensare ad Adams, tanto per citare uno a caso.
Ma deve essere parte di un progetto, avere qualcosa da dire.
E' buona se dietro c'è un ragionamento che vada oltre al semplice "mi piaceva".
In caso contrario o è un mero esercizio
tecnico o è una casualità.
Ed a ben riflette, lo stesso principio
vale per qualsiasi altra specialità fotografica.
In sintesi la stessa conclusioneè sempre la stessa: è quel che c'è nella scatola cranica di chi usa lo strumento a fare la differenza.
Tutti i luoghi dove ci si può esprimere necessitano di regole.
Qui sono poche e spero possano essere chiare e condivise.
1) Rispetto! Vale a dire: non si insulta,
punto.
Tanto per chiarire: non penso affatto che tutte le
opinioni abbiano stesso valore (ad esempio la mia opinione e quella di Salgado, Leibowitz, Berengo Gardin, Toscani, ecc. NON hanno lo stesso peso specifico) ma tutti hanno facoltà di esprimerla
senza essere insultati.
Per inciso: razzismo, xenofobia, omofobia, ecc.
non sono opinioni, sono solo cazzate, talvolta reati, comunque brutta roba.
Non credo che chi è avvezzo a diffondere quanto sopra possa frequentare queste pagine, ma se capitasse bannerei immediatamente tali commenti e, se ne sussistessero gli estremi, segnalerei l'autore alle autorità competenti.
2) Farsi pubblicità non vale.
Anche poco utile: mica ho un milione di accessi (per ora 😉)
E a chi lo dovesse fare non dico stronzo perché infrangerei la regola 1 e mi dovrei auto-bannare (però lo penso)😝.
3) Fate e scrivete un po' quel che vi pare e buona
vita.